Articolo tratto da IoDonna del 24 aprile 2021
Era nata come strumento di conquista. Ma grazie ad alcune pioniere, come la viaggiatrice inglese Isabella Bird di fine ’800, la Geografia è diventata la disciplina che ci insegna a scoprire l’impatto umano sul territorio. A capire come valorizzarne il bello, arginare gli effetti di una tempesta o favorire un turismo sostenibile.
di Cristina Lacava
Elena Dell’Agnese
Docente di Geografia all’università Bicocca di Milano
L’antesignana è stata l’inglese Isabella Bird.
Cavallerizza indomita, grande viaggiatrice, è stata la prima donna ammessa alla Royal Geographical Society, nel 1892.
Da sola ha attraversato le Montagne Rocciose, ha visitato le Hawaii, il Giappone, l’Australia, raccontando le sue avventure in libri capaci di scuotere la rigida società vittoriana (per poi finire i suoi giorni a causa di una banale caduta in casa). «Grazie a lei la geografia, che serviva per conquistare il mondo e dominarlo, è diventata strumento di conoscenza» dice Elena Dell’Agnese (foto), docente di Geografia all’università Bicocca di Milano. Una storia nobile, quella della Geografia, soprattutto all’estero. In Italia, invece, questa disciplina è sempre stata considerata una Cenerentola.
La riforma Gelmini l’ha quasi cancellata a scuola: diminuite le ore alle elementari e medie, ai licei ormai sopravvive nel confuso mix Geostoria, e solo nei Tecnici per il turismo acquista un minimo di visibilità. Eppure, se ne sentirebbe il bisogno: provate a chiedere ai vostri figli le capitali europee e li vedrete annaspare. E se gli mettete sotto il naso una carta stradale invocheranno il ricorso allo smart phone. Mancano le basi, e non è solo questione di conoscere i laghi più grandi o i monti più alti (per quanto…).
In realtà, la Geografia è molto di più di una serie di elenchi mnemonici. «Ci aiuta a leggere il territorio, a vedere le stratificazioni degli insediamenti umani, a valorizzarne le bellezze ma anche a riconoscerne le criticità» spiega ancora Dell’Agnese. «In quest’ultimo anno il paesaggio è stato stravolto dalla pandemia: è cambiato il nostro modo di consumare e questo ha conseguenze nella produzione e quindi nel territorio, con aziende che chiudono e altre che aprono, nuove coltivazioni. Si spostano i confini e le persone, si modificano i paesaggi.
Se sapessimo leggere la realtà che ci circonda, eviteremmo anche le ricadute negative. Secondo il Guardian, tutti quelli che entrano nel mondo del lavoro dovrebbero avere un diploma in geografia, proprio perché disciplina ponte tra scienze umane e fisiche». Generalista, ma anche molto concreta, dai tempi di Isabella Bird la Geografia si è man mano aperta alle donne, «abituate ad avere dimestichezza con lo spazio quotidiano, a vivere in rapporto stretto con il territorio» precisa Elena Dell’Agnese.
Da Emma Willard, autrice del primo Atlante storico degli Usa, a Doreen Massey, studiosa della globalizzazione, scomparsa nel 2016. Ma anche in Italia non mancano le geografe illustri. In cattedra, sul campo. Le abbiamo incontrate.
«Le carte aiutano a salvare i boschi»
Elena Dai Prà
54 anni, docente di Geografia all’università di Trento e direttrice del GeCo (Centro Geo-Cartografico di Studio e Documentazione) di Rovereto
«In Italia la Geografia è considerata ancora la disciplina che costringe a imparare a memoria i nomi di fiumi, monti, laghi. Quello è l’Abc, ma in realtà è una materia che apre gli occhi sul mondo, e consente di osservarlo nelle sue caratteristiche fisiche, ambientali e antropiche, osservando i mutamenti a opera dell’uomo, nel corso del tempo.
A Rovereto abbiamo inaugurato un anno fa il GeCo, un centro unico in Europa nato dalla collaborazione tra l’università, la provincia di Trento e il comune. Facciamo ricerca utile alla gestione sostenibile del territorio, il nostro campo principale è la geografia storica. Un esempio? Dopo la tempesta Vaia, nell’ottobre del 2018, abbiamo studiato le mappe per capire com’erano i boschi prima della distruzione e progettarne il futuro.
Per conto della provincia di Bolzano stiamo facendo un progetto sull’andamento del fiume Adige: conoscerne la storia aiuta a fare un’analisi predittiva sul rischio idrogeologico, attraverso i modelli degli ingegneri idraulici che collaborano con noi. Tutelare il paesaggio, aiutare affinché sia gestito in modo sostenibile e funzionale; sono temi sui quali noi geografi possiamo fare la differenza, grazie ai materiali storici. Al GeCo abbiamo firmato un anno fa un accordo con l’Esercito, che ha un patrimonio cartografico straordinario, per lo più non fruibile.
Grazie a questo accordo, unico in Europa, possiamo consultare la loro documentazione e valorizzarla, organizzare mostre e iniziative culturali. Ed è incredibile che sia stata proprio io, una donna, a relazionarmi con un ambito così maschile come l’Esercito. Eppure ho trovato grande sensibilità e disponibilità anche per un altro progetto che stiamo mettendo a punto insieme: la rivalutazione di Cesare Battisti. Sapevate che, oltre che eroe irredentista, era un geografo?».
«Serve una visione d’insieme per rilanciare le aree interne»
Elena Di Blasi
58 anni, docente di Geografia politica alle facoltà di Economia e Relazioni internazionali a Messina
«La Geografia è in continuo divenire, così come la realtà è in continua trasformazione. Si basa sull’osservazione, e dà una chiave di lettura d’insieme di un territorio, piccolo o grande. Come si può attuare una politica sociale senza la conoscenza del territorio? Penso alle aree interne della mia terra, la Sicilia, spopolate e isolate, senza infrastrutture, senza servizi, a rischio idrogeologico.
Nonostante queste criticità, l’estate scorsa con la pandemia sono state scoperte da turisti in cerca di posti nuovi e non affollati, come ci hanno spiegato i sindaci che hanno risposto a un nostro questionario. Se venissero valorizzate, si potrebbe arginare lo spopolamento. Ma un progetto di recupero non può fare a meno del contributo del geografo, l’unico professionista che ha una visione d’insieme. Sempre in Sicilia, ho effettuato uno studio sul recupero delle aree termali del messinese e di Acireale-Sciacca, queste ultime chiuse da tempo.
Quando finirà l’emergenza bisognerà cercare di riaprirle; potrebbero essere una boccata d’ossigeno per l’economia locale e offrire posti di lavoro ai giovani. Insomma il mio lavoro è a tutto campo, ho realizzato anche un percorso della memoria sullo sbarco degli alleati in Sicilia. All’estero i geografi sono protagonisti nella pianificazione territoriale, da noi siamo molto sottoutilizzati. Ma i miei ex studenti che si sono fatti strada in politica mi ringraziano. Nessuno come loro conosce il territorio».
«I nostri progetti per il turismo post Covid
Maria Prezioso
64 anni, docente di Economics Geography and European Territorial Planning alla facoltà di Economia dell’università di Roma Tor Vergata
«Ho studiato Architettura, mi sono specializzata in pianificazione territoriale ma da tanti anni mi occupo di Geografia economica: la mia disciplina non descrive mari e monti ma ne tiene conto per pensare e progettare politiche e strategie di sviluppo sostenibile del territorio.
A differenza degli economisti, che partono dall’alto e fanno ipotesi muovendosi in uno spazio indifferenziato, noi geografi partiamo dal basso, cioè proprio dalla realtà del territorio. Facciamo un lavoro a 360° insieme a urbanisti, economisti, sociologi. La mia materia mi piace da impazzire e cerco di trasmettere questo entusiasmo agli studenti.
Mi piace l’approccio interdisciplinare, perché mi occupo di realtà diverse: ho fatto adottare il piano territoriale di Roma Capitale, ho individuato progetti che possono partire con i cantieri come la metropolitana a Tor Vergata o la rete digitale nelle aree interne, rappresento l’Italia nel programma europeo Espon (European Spatial Planning Observation Network), e in questo ambito, con altri Paesi, stiamo studiando il turismo sostenibile post Covid: dovrà essere a basso impatto e non mordi e fuggi, si darà spazio all’educazione, al recupero e alla redditività delle aree archeologiche e dei musei, perché o si fa finalmente un cambiamento strutturale o non ci riprenderemo.
Mi occupo anche di piani di riconversione delle aree terremotate, di recupero delle case popolari nel quartiere romano di Tor Sapienza. Più vario di così! Insegno dall’85 e tutti i miei studenti hanno trovato una buona occupazione: molti lavorano alla Commissione Europea, altri al Ministero dell’Economia o dell’Ambiente, all’Agenzia per la Coesione territoriale, a Invitalia, in Fao. L’Unione Europea finanzia molti ricercatori di geografia economica, ma sono pochi gli italiani, forse perché non si fanno avanti. Invece ci sarebbe tanto da fare!»
«Per amore della geografia a 57 anni ho iniziato il Dottorato di ricerca»
Ornella D’Alessio
Giornalista di viaggi e Collaboratrice di IO Donna, ha ricominciato a studiare per realizzare un sogno
«“Se spendessimo tutti i soldi in viaggi, nessuno potrebbe rubarci i ricordi”. Avevo 10 anni, quando cercai di risollevare mia madre dal dramma di un furto in casa. Era già chiaro che il mondo mi affascinava, che volevo ardentemente conoscerlo tutto. Quattro anni dopo chiesi di andare in Inghilterra per imparare l’inglese e “capirmi con il mondo”, ma per i miei ero troppo piccola e dovetti aspettare i 15 anni.
Per consolarmi, mi permisero di decorare la parete di camera mia con una carta da parati un po’ speciale: una mappa del mondo lunga quattro metri e alta due. Osservandola, imparavo i confini e le capitali, e intanto mi immaginavo quali Paesi avrei visitato.
La geografia è sempre stata il mio pallino. A 19 anni mi iscrissi a Scienze Politiche perché i miei genitori non mi lasciarono alternative, e col senno di poi non lo rimpiango. Il primo esame fu Geografia politica. Insomma, non è un caso che abbia finito per fare di mestiere la giornalista di viaggi: ho avuto il privilegio di vedere il mondo e il piacere di raccontarlo.
Mi viene da sorridere, pensando che quella bambina abbia visitato fino a oggi 102 Paesi del mondo (non che sia un record, conosco colleghi che sono stati in più di 160). Però, mi era sempre rimasta un’idea, o meglio un sogno: fare un dottorato di ricerca. L’occasione è arrivata a 57 anni, 32 anni dopo la laurea.
Qualche anno prima avevo iniziato a frequentare la Società Geografica Italiana a Villa Celimontana, nel quartiere del Celio a Roma, una vera e propria Mecca. L’archivio custodisce i documenti, i diari, i disegni e gli scritti degli esploratori italiani dei secoli scorsi.
Ho sempre subito il fascino delle cronache manoscritte. È stato lì che ho incontrato la figura del nobile perugino Orazio Antinori (niente a che fare con la famiglia toscana del vino), uno dei fondatori della Società Geografica Italiana, che trascorse gli ultimi sette anni della vita ad Ankober, in Etiopia. Quasi per caso sono venuta a conoscenza del bando per dottorati in Beni Culturali, Formazione e Territorio all’Università degli studi di Roma Tor Vergata. Ho mandato la documentazione richiesta, ho passato la selezione e poi l’orale: ammessa.
È così che nel 2017 ho rimesso piede all’università. Ho scoperto che studiare per volere e non per dovere, è diverso. Si impara in modo più consapevole. Ho frequentato le lezioni in mezzo a compagni ben più giovani, ho ascoltato i seminari, sono stata scambiata spesso per una docente. Insomma, un’avventura che è appena terminata con la discussione della tesi, la settimana scorsa. In missione per la mia ricerca su Orazio Antinori, sono stata due volte ad Ankober, antica capitale del regno di Shewa, sulla scarpata nord-orientale dell’altopiano etiopico, a 2.900 metri di altitudine.
Ho conosciuto persone incredibili, comunicato a gesti o parlato con gli occhi, stretto tante mani di donne che lavorano per l’associazione che gestisce la foresteria Antinori, e portato a compimento le ricerche più bizzarre. A caccia di documenti sull’esploratore perugino, una volta ho dovuto comprare legni, chiodi e corde per costruire una scala e permettere a un giovane di salire sulla soffitta della chiesa, aprire bauli semi-segreti il cui contenuto è conosciuto solo ai vecchi saggi.
Ho scarpinato per raggiungere il villaggio di Dens in quota, oltre i 3.000 metri dell’altopiano di Kundi, per fotografare i babbuini Gelada, endemici dell’Etiopia, e gli eleganti Colobi Guereza, scimmie arboricole con la lunga coda con un ciuffo bianco che abitano le foreste montane lungo i pendii che si affacciano sulle pianure della Dancalia. Quanto è bello il pianeta Terra».